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Perché tutte e tutti dovrebbero aderire alla campagna “Non c’è posto per te!”
Abbiamo lanciato nei giorni scorsi la campagna “Non c’è posto per te!”, alla quale anche il nostro giornale ha aderito, che rivolge specifiche richieste ai Servizi Antiviolenza e alle Istituzioni, per far sì che nessuna donna vittima di violenza – donne con disabilità comprese – venga più esclusa dalle Case rifugio. Sull’iniziativa diamo oggi spazio a un approfondimento di Nadia Muscialini, psicologa, psicoanalista, attivista, saggista, tra le massime esperte italiane di lotta alla violenza di genere, che ha collaborato a propria volta alla realizzazione della campagna
«Secondo l’ultimo rapporto ISTAT in tema di violenza di genere, il 94% delle Case rifugio si sono dotate di criteri di esclusione dall’accoglienza delle ospiti, ma ulteriori meccanismi di esclusione si riscontrano anche in altri Servizi Antiviolenza»: lo abbiamo scritto nei giorni scorsi presentando la campagna denominata Non c’è posto per te!, promossa da Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), in collaborazione con altre persone ed Enti, cui già in tanti hanno aderito, compreso il nostro giornale.
Sull’iniziativa, che rivolge specifiche richieste ai Servizi Antiviolenza e alle Istituzioni, per far sì che nessuna donna vittima di violenza venga più esclusa dai Servizi in questione, diamo oggi spazio al seguente approfondimento di Nadia Muscialini, psicologa, psicoanalista, attivista, saggista, tra le massime esperte italiane di lotta alla violenza di genere, che ha collaborato a propria volta alla realizzazione della campagna.
La violenza contro le donne in Italia è purtroppo un fenomeno ampiamente diffuso e strutturale; i dati sono tristemente noti e la cronaca nera non smette di ricordarcelo: i dati ufficiali, che sono solo la punta dell’iceberg del fenomeno, rivelano che colpisce il 31,5% delle donne.
Le donne con problematiche complesse risultano essere coloro che rischiano maggiormente di diventare vittime di qualche forma di violenza. Tra queste, le donne con disabilità raggiungono circa il 40%, quelle in gravidanza il 30% e quasi lo stesso si può dire delle donne senza fissa dimora, migranti, con problematiche di dipendenza ecc. I femminicidi solo nel 2023 sono stati 80 e ogni 131 minuti una donna denuncia uno stupro o abusi e reati sessuali.
I centri antiviolenza e le case di accoglienza sono nati per dare una risposta alle donne che cercano aiuto. Tra gli obiettivi vi sono la protezione, la tutela dell’incolumità fisica e psichica, assistenza legale e psicologica, inserimenti lavorativi e sostegno all’autonomizzazione. Questi servizi garantiscono l’anonimato e la riservatezza.
Un recente rapporto ISTAT riporta però che il 94% delle case di accoglienza ha adottato dei criteri di esclusione delle ospiti, ma non solo, criteri di esclusione sono stati adottati anche da molti altri Servizi Antiviolenza.
Ma quali sono le donne escluse dai criteri adottati nelle case rifugio o servizi antiviolenza? Sono donne con difficoltà complesse per la compresenza di limitazioni o di fragilità e che, certo, hanno bisogni importanti per numero e per specificità.
Tra le escluse vi sono quelle che hanno una disabilità, problemi di dipendenza da alcool, droga, gioco o altro; donne senza fissa dimora o permesso di soggiorno, vittime di tratta o prostituzione, gestanti agli ultimi mesi di gravidanza, donne con figli adolescenti e altro ancora.
Spesso chiedono aiuto in situazioni di urgenza ed emergenza e hanno bisogno di accoglienza in un luogo sicuro e dell’aiuto di professionisti esperti in vittimologia e trauma, ma anche di specialisti nelle aree di fragilità e vulnerabilità che le caratterizzano.
Gli operatori della salute, della sicurezza, della scuola ecc., che si trovano ad affrontare queste situazioni complesse sono in estrema difficoltà a trovare soluzioni e provano la stessa intensa sofferenza delle vittime, soprattutto nel non riuscire a transitarle verso gli aiuti e la protezione necessarie.
Per una vittima di violenza non essere accolta è un dramma che si somma a quello della violenza subita; la difficoltà o impossibilità di collocamento le provoca sentimenti di abbandono, di precarietà, paura, ansia profonda e continua, sentimenti di rifiuto, solitudine e espulsione. Si sente priva di valore, inutile, senza speranza in questa società che priva di protezione i soggetti più fragili e in difficoltà.
Spesso sono state donne autonome e indipendenti ad essere rese fragili e vulnerabili proprio dalla violenza. Sappiano infatti che chi subisce violenza ha elevatissime possibilità di sviluppare una patologia organica o mentale, di cercare medicamento della sofferenza in alcool o droga, di perdere la gravidanza o dover lasciare i figli con il padre violento. Scappano da zone di guerra o situazioni di povertà per aiutare la famiglia o qualche congiunto malato. Sappiamo anche che la violenza pone la donna in una situazione di inabilità legata proprio alle violenze subite: si perde la capacità di essere autonome, avere cura di sé e delle relazioni sociali e familiari.
Il suicidio o il tentato suicidio sono evenienze non rare in donne che denunciano, ma che non riescono a ricostruirsi una vita perché non aiutate nel momento di maggior fragilità e bisogno, o per troppi anni passati tra espedienti e precarietà; o perché costrette a rimanere con il loro aguzzino.
Anche i professionisti o i cittadini che vogliono aiutarle, indirizzandole ai servizi competenti, si sentono, come già accennato, impotenti, frustrati, senza speranza. Dopo averne raccolto le storie, medicato le ferite, asciugato le lacrime, si trovano impotenti di fronte all’impossibilità di offrire ciò che la legge prescrive per aiutarle.
Passano ore nella spasmodica ricerca di un gesto caritatevole, di un’umanità sensibile e accogliente, chiedono favori, non di rado offrono a loro spese cibo e accoglienza. Ma sono storie complesse, perché la fuoriuscita dalla violenza è lunga e si può a malapena sollevare temporaneamente dal pericolo una donna violentata, picchiata, magari con dei figli. Si può tamponare la situazione di emergenza, ma poi serve qualcosa di strutturato, altrimenti le donne tornano necessariamente nella situazione da cui sono scappate; le violenze di un parente o di un caregiver, la strada, i centri per persone senza fissa dimora, la casa del proprio aguzzino.
La campagna Non c’è posto per te! chiede che i servizi inizino a riflettere su queste criticità e sui passi necessari per eliminare i criteri di esclusione. Non sono infatti le donne che devono cambiare, ma sono i servizi che si devono adeguare alle normative e ai bisogni delle singole donne che chiedono aiuto.
Si prendano ad esempio i servizi virtuosi; si pensi in ottica di condivisione di competenze tra strutture e professionisti specializzarti in diversi àmbiti. Si comprenda che sono gli specialisti a doversi muovere verso le donne e non il contrario.
L’obiettivo di Non c’è posto per te! è quindi quello di sensibilizzare sull’importanza della non-esclusione attraverso questi semplici passaggi ed evitare che queste donne, oltre ad incorrere in seri pericoli per la propria salute e per la propria vita, soffrano anche per questa esclusione e forma di discriminazione.
La campagna promossa da Informare un’h -Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), in collaborazione con Maria Giulia Bernardini, Martina Gerosa, Piera Nobili, Cristina Pesci, chi scrive [Nadia Muscialini, N.d.R.] e Simona Lancioni, in qualità di responsabile del Centro, chiede dunque:
° L’eliminazione dei meccanismi di esclusione dell’accoglienza delle ospiti e dei loro figli e figlie.
° La costituzione di reti territoriali finalizzate alla presa in carico delle donne vittime di violenza che sono esposte a discriminazione multipla/intersezionale.
° La disponibilità a lavorare in équipe multidisciplinari a composizione variabile, coinvolgendo di volta in volta le professionalità utili e necessarie ad affrontare in modo adeguato la complessità che ciascun caso più presentare.
° L’introduzione del rispetto del principio di non discriminazione quale requisito richiesto per l’accesso ai fondi pubblici da parte dei Servizi Antiviolenza.
Per aderire alla campagna basta mandare una mail con la propria adesione all’indirizzo info@informareunh.it.
di Nadia Muscialini (Psicologa, psicoanalista, attivista, saggista, tra le massime esperte italiane di lotta alla violenza di genere)
Spero che aderisci anche tu!
Noi ce la stiamo mettendo tutta a spiegare le ragioni della campagna NON C’È POSTO PER TE! In questo articolo su Superando le spiega bene l’amica e collega Nadia Muscialini, con cui da 10 anni sto impegnandomi personalmente a costruire – in rete con persone esperte, spesso volontarie, e i pochi enti sensibili – possibili percorsi di fuoriuscita dalla violenza, per donne disabili e fragili, vittime di maltrattamenti e violenze.
Ti unisci a noi?
Grazie se fai anche passaparola.
N.B. La campagna è spiegata in diversi formati, simboli CAA, testo facile da leggere ETR, lingua dei segni LIS… e con diversi VIDEO, in cui approfondiamo le ragioni e spieghiamo come si potrebbe lavorare tutte e tutti insieme per promuovere accessibilità e inclusione!