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Disabilità, la nuova legge in Lombardia per la vita autonoma
Il Giornale del 29/12/2022
Il Consiglio Regionale della Lombardia, ha approvato la legge sulla vita indipendente per le persone disabili. Un enorme passo avanti per permettere alle persone con disabilità, la stessa possibilità di vita e di scelta di tutte le altre persone
MILANO. Un grande passo avanti per la disabilità è stato fatto recentemente in Lombardia, dove il Consiglio Regionale ha approvato all’unanimità una legge che promuove il riconoscimento del diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità. Con questa le persone disabili avranno la stessa possibilità scelta di tutte le altre persone, non soltanto migliorando la dignità della loro vita, ma venendo riconosciuti come persone con i propri desideri, bisogni e pulsioni. “Una rivoluzione copernicana nell’ambito dell’assistenza alle persone con disabilità, che passa da una logica basata sull’offerta di servizi e prestazioni a una logica che individua gli interventi per il miglioramento della qualità di vita, partendo stavolta direttamente dai bisogni, dagli interessi, dalle richieste, dai desideri e dalle preferenze del singolo individuo”, racconta Alessandro Fermi, presidente del Consiglio lombardo e primo firmatario del provvedimento. Su questa nuova legge, e la sua fondamentale importanza, abbiamo parlato con Simone Fanti, direttore della Fondazione Mantovani Castorina, che da anni si dedica alle persone con grave disabilità intellettiva e neuromotoria.
Cosa significa per un disabile il diritto alla vita indipendente?
“Significa poter scegliere. Nel momento in cui dovessero mancare i caregiver o i genitori una persona con gravi disabilità fisiche, sensoriali e intellettuali si potrebbe trovare senza casa e senza alcuno che si prenda cura di lui. Toccherebbe quindi allo Stato. La sua possibilità di scelta su come vivere la propria vita, quindi, sarebbe molto limitata. Il diritto alla vita indipendente, significa dargli la possibilità di poter scegliere. Parliamo di grandi scelte o di piccole cose, come il piatto da mangiare a pranzo”.
Cosa succede ora?
“Bisogna attendere i decreti attuativi della legge. In pratica i genitori e i professionisti che seguono la persona con disabilità compilano un piano individuale, una sorta di diario che racconta tutto di questa persona per coloro che si prenderanno cura di lui dopo la scomparsa dei caregiver familiari. Chi ha una disabilità gravissima spesso non può avere una vita autonoma e ha bisogno di professionisti che gli diano supporto sia per quanto riguarda la parte medica, sia per la parte sociale. Questo diario è un modo per rispondere ai bisogni e ai gusti di chi non riesce a comunicare con il mondo esterno”.
Come è nata questa legge in Lombardia?
“Dal 2013, lo Stato italiano ha iniziato a lavorare sulle disabilità creando un fondo per le autonomie e mettendo in quadro tutto quello che concerne quell’ambito. Poi tocca alle regioni, che sono competenti in materia di salute, e possono definire la proprio linea di azione. La legge che ha fatto la regione Lombardia deriva in parte dalla convenzione ONU del 2006 e dalla Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali del 2000”.
Concretamente cosa contiene?
“Innanzitutto mette a disposizione dei fondi, circa un milione per biennio, che si andranno ad aggiungere a quelli per le non autosufficienze e ad altri che ruotano intorno a questa tematica. Inoltre dà forma al panel (caregiver, assistenti sociali e specialisti) che gestirà il piano individuale. L’obiettivo è organizzare un’esistenza quanto più autonoma e indipendente possibile, utilizzando le competenze e l’intervento economico di ciascun reparto, e fornendo una serie di servizi che possono andare a coadiuvare questa persona. Infine crea i cosiddetti ‘Centri per la vita autonoma’ dove si concentrano le figure che forniscono i servizi. Queste sono fondamentali per creargli una casa e una famiglia sia nel momento in cui verrà a mancargli quella d’origine, ma anche prima, per soddisfare il desiderio della persona di avere una vita autonoma a prescindere”.
Come è la situazione in questo ambito per il resto del nostro Paese?
“Quella della Lombardia, è forse la prima legge regionale per la vita indipendente; esistono però altre realtà, come ad esempio la Toscana, che sono molto avanti in questo fronte, ed hanno messo in atto diverse esperienze. In Toscana si lavora sia sulle strutture residenziali sia su una serie di esperienze di coabitazione, le cosiddette co-housing, tra disabilità diverse. Per fare un esempio, una persona con disabilità motorie e una con intellettive possono convivere e aiutarsi a vicenda. Ci sono molte associazioni che hanno preso in affitto strutture dove far coabitare diverse persone con disabilità e hanno formato sia i ragazzi e i tutor per accompagnarli in questa scelta”.
La legge lombarda comprende anche questo?
“Ci sono già persone con disabilità grave e gravissima, che vivono nelle proprie case grazie a professionisti che li supportano. Da chi andava a fargli la spesa, all’assistente sociale e così via. In questo caso però la Toscana ha una forma di sovvenzione più alta e oltre la pensione di accompagnamento offre un finanziamento corposo per pagare le persone che assistono”.
Le figure assistenziali sono fondamentali in questo ambito.
“L’altra cosa importante che la Lombardia ha fatto, ed in questo sono stati i primi, è aprire il primo albo per i caregiver, ovvero colui o colei che si prende cura di una persona malata o con disabilità. Parliamo di genitori, parenti, fratelli o amici, figure che in realtà per lo Stato non esistono. Molti di questi per prendersi cura di una persona disabile devono lasciare il lavoro. Non sono pagati, non hanno una pensione, eppure da un certo punto di vista fanno risparmiare molto lo Stato. Il dibattito su queste figure dura da molto tempo e ci sono diverse leggi in Parlamento reiterate e mai portate in aula per il loro riconoscimento. È un tassello, ma se sommato agli altri, si comincia a vedere che su questo fronte si sta muovendo qualcosa”.
In questo ambito la Lombardia ha fatto da apripista anche anche a protocolli ripresi poi da altre regioni.
“Venti anni fa è nato un polo all’ospedale San Paolo di Milano, che si chiama Dama (disabled advanced medical assistance). Questo si occupa di accogliere e trattare una persona con disabilità grave e gravissima in ospedale. Pensiamo a una persona autistica o con disabilità intellettive, e immaginiamo la difficoltà per poterlo sottoporre ad esempio a cure dentistiche. Questa modalità fornisce le linee guida, per accogliere queste persone ed avviarle ai servizi medici ed ospedalieri nel modo migliore. Il Dama, nato a Milano e legato alla Fondazione Mantovani Castorina che dirigo, funziona così bene che negli ultimi venti anni ha creato una rete di 19 ospedali in tutta Italia. Questo modello sta per essere attivato anche in Francia. La somma degli interventi in Lombardia dà quindi alla persona con disabilità, la possibilità di avere un gruppo di persone, ciascuna esperta in un campo, per favorire la sua vita. In un certo senso una macro famiglia, che si prende cura di queste persone sotto tutti i punti di vista, da quello sociale a quello medico o economico o lavorativo. La Fondazione Mantovani Castorina sta costruendo la sua via di vita indipendente nel “durante noi”, ovvero mentre sono ancora in vita i caregiver, in modo che se dovessero mancare queste figure il disabile può continuare nella ‘routine’ avuta fino a quel momento”.
Con questa legge e con gli altri protocolli, c’è quindi una sorta di capovolgimento della situazione. Ora sono le associazioni che convergono verso il disabile, e non il contrario come succedeva prima.
“La chiave è proprio questa, prima la persona con disabilità veniva considerata un malato quindi i suoi desideri venivano limitatamente presi in considerazione, ora invece viene considerata una persona. La differenza sostanziale è che oggi pesano di più i suoi desideri e le sue volontà, e bisogna, nei limiti del possibile avvicinarsi a questi comprendendo che è un uomo o una donna e come tale va trattato”.
Roberta Damiata