InVisibili Blog del 28/11/2023

Diversità e inclusione vanno per la maggiore, soprattutto in ambito aziendale dove si incontrano nell’acronimo d&i, diversity & inclusion, perché in inglese c’è più appeal.

Tra chi ne parla e basta, ricadendo nell’inclusive (o inclusion) washing, cioè in qualcosa che ti passa addosso senza lasciare traccia, e chi la pratica, ho intervistato Daniele Regolo, pioniere dell’inclusione lavorativa che da poco ha assunto un nuovo e più rilevante ruolo: l’inclusione lavorativa è davvero un fattore vincente? Le risposte spiazzano. Daniele è lo storico fondatore di Jobmetoo, prima agenzia lavorativa per persone con disabilità, nel 2013.
Nel 2020 la società è stata acquisita da Openjobmetis, unica agenzia per il lavoro quotata alla borsa italiana.
L’attività di Daniele era dunque appetibile, spia che c’era, e c’è, interesse delle aziende ad assumere persone con disabilità tale da creare giro d’affari. Aspetto inatteso nella considerazione del mercato del lavoro per le persone disabili.

Daniele Regolo, amico e collega di molte intraprese, è ampiamente titolato nel campo dell’inclusione e del disability manager, comprovata dall’iscrizione all’albo professionale. Amante della vela, dalla intervista spunti per sfatare alcuni falsi miti sulla convenienza dell’inclusione.

Daniele, in cosa consiste il tuo nuovo compito?
«Dal Luglio 2023 il mio ruolo si è arricchito della costruzione dei migliori percorsi di d&i oltre che verso i clienti anche all’interno della nostra società, realtà che supera gli 800 dipendenti in tutta Italia e richiede una figura dedicata. Nello specifico, mi occupo di favorire la diffusione di una cultura inclusiva nella popolazione aziendale. Il primo passo è stato quello di una survey proprio perché non si possono affrontare temi così strategici facendoli calare esclusivamente dall’alto».

Le tue competenze nel campo della disabilità ti hanno agevolato?
   «Certamente, anche se da sole non sono sufficienti per affrontare l’intero mondo della d&i. Anzi, credo sia giusto sottolineare che ogni giorno vengo a scoprire nuovi aspetti del mondo della disabilità che non conoscevo. Come potrei quindi padroneggiare il vastissimo universo della diversity? D’altra parte, proprio a partire dalla disabilità e dalle specifiche questioni che questa ci offre, abbiamo la possibilità di ritrovare quelle caratteristiche che accomunano tutte le categorie – chiamiamole così per comodità – della diversity: genere, etnia, differenze culturali, LGBTQ+, ma anche differenze generazionali. Queste ultime dimostrano, tra l’altro, che i “cluster” della d&i sono in continua evoluzione. E quali sarebbero i punti in comune che citavo? Il potenziale rischio di esclusione o emarginazione che ci allontana dalla parità di trattamento. In questo, la disabilità ci fornisce una preziosa ispirazione nella lavorazione di tutti i temi di d&i».

Come si crea inclusione in un’azienda?
   «Prima di tutto soffermiamoci sulle parole, visto il potere che hanno su di noi. Io stesso, che utilizzo il termine “inclusione” quotidianamente, avverto alcune insidie in questa parola. Mi rendo conto che viene spesso percepita come un dovere morale a cui sottostare, a volte senza una reale comprensione dei vasti fenomeni che ci circondano. Questo è il primo task da affrontare se vogliamo che davvero l’inclusione, intesa come quell’insieme di azioni e strumenti che mirano a rimuovere i rischi di esclusione o discriminazione, sia davvero efficace. Le migliori azioni saranno quelle vissute, elaborate e proposte partendo da una forte convinzione personale e aziendale. Tengo molto a precisare che spesso le aziende sono più avanti di quanto possiamo immaginare, mentre altri attori della nostra società si dimostrano più arretrati».

Investire sulla diversità offre davvero vantaggi?
   «Altra domanda molto difficile! Ritengo che nel mio ruolo sia necessaria, come in tutti gli ambiti, una buona dose di onestà intellettuale. Oggi leggiamo sempre più che la “diversità in azienda rende più produttivi”. Forse vado un po’ controcorrente ma non credo sia questo il miglior approccio verso una illuminata gestione della d&i in azienda. Premesso che è davvero difficile dimostrare una correlazione diretta tra diversità dei team e aumento della produttività, esiste a mio avviso una via migliore da percorrere e va ricercata proprio nella parola “diversità”. La domanda la capovolgerei “Quali sono gli svantaggi di un ambiente non inclusivo?”. Sono veramente tanti, a partire da quelle barriere che, anziché abbattute, vengono erette. Tutto il resto genera a cascata conseguenze negative in termini di realizzazione personale, qualità delle relazioni, dedizione al proprio lavoro».

Sempre più aziende si occupano di inclusione, ma sono sempre poche quelle che assumono esperti con disabilità ad alto livello, perché?
«Vero. Questo aspetto mi sta facendo riflettere sul fatto che se, da una parte, le persone con disabilità hanno oggi sicuramente più facile accesso al mondo del lavoro, dall’altra è come se ci si fermasse: la carriera delle persone con disabilità è ancora un tabù. Inutile dire che la base di professionalità è imprescindibile per tutti, quindi anche per i disabili. Su questo terreno abbiamo ancora parecchia strada da percorrere».

Verrà il giorno in cui non dovremo più avere ruoli specifici che si occupano di diversità e inclusione?
«Lo penso spesso, ma ammetto che quando esterno questo pensiero non sempre vengo capito. Viene presa soprattutto l’idea che si debbano annullare tutte le differenze, mentre la mia visione è diversa: dobbiamo giungere al momento in cui – e sarà un gran momento per la civiltà – il nostro occhio riconosce ogni differenza, ogni peculiarità, ne coglie e apprezza ogni singola sfumatura, ma questa non diventerà mai un motivo di esclusione o discriminazione. Penso che ci vorranno alcuni anni per arrivarci; mi basterà sapere che, in questo campo, saremo stati dei buoni pionieri».

Grazie Daniele. L’inclusione è diversa da come la pensiamo, forse.

di Antonio Giuseppe Malafarina,
@Antonio Giuseppe Malafarina