Istituto per sordi. Per risparmiare venti stipendi smontano un servizio d’eccellenza

ROMA. L’Istituto Statale dei Sordi di Roma è arrivato alla sua ultima fermata e noi lavoratori siamo stati invitati a scendere. Il lavoro, la dedizione, la professionalità e il lungo precariato di 20 lavoratori co.co.co., sordi e udenti, non sono infatti stati presi in alcun modo in considerazione dal Regolamento di riordino dell’Ente, di cui eravamo in attesa da 17 anni e che è ormai giunto alla sua fase conclusiva. Il Miur, non contento di aver affidato per ben 10 anni l’Issr a un commissariamento straordinario, ha pensato bene di ridimensionare significativamente il ruolo e le funzioni di un Istituto che costituisce un unicum a livello nazionale e di tagliare fuori i suoi lavoratori, ossia proprio coloro che, nella vergognosa latitanza istituzionale di quasi due decenni, hanno portato avanti e perfino implementato le attività e i servizi offerti alla collettività, alle persone sorde, alle loro famiglie e agli operatori del settore socio-educativo. Così, dopo che i lavoratori dell’Issr, di cui quasi la metà sordi, hanno dimostrato che è possibile occuparsi di sordità, servizi, educazione e cultura secondo i dettami della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, dopo che hanno resistito a una difficile crisi economica che li ha lasciati per mesi senza retribuzione… la beffa! L’Ente sopravviverà – anche se di molto ridimensionato – e proprio coloro che hanno contribuito a renderlo un centro di eccellenza non ne faranno più parte.

Evidentemente non sono bastati gli articoli di giornale e le denunce di un anno fa a salvare quello che in Italia non solo è un punto di riferimento dell’intera comunità sorda, ma costituisce un centro di eccellenza per la ricerca, i servizi e le attività offerte. Adesso un regolamento approvato in fretta e furia dal governo uscente (dopo 17 anni di silenzio!) farà dipendere l’Issr dalla scuola Magarotto, presente all’interno dell’istituto stesso ma che poco ha a che vedere con tutto ciò che negli altri piani del palazzo si faceva. L’idea di una razionalizzazione della spesa, che pare evidente dietro questa scelta frettolosa, va a sbattere drammaticamente contro il lavoro di venti persone – che in questi anni hanno reso l’istituto il centro di eccellenza di cui parlavo – ma anche contro i bisogni e le necessità di tutta la comunità sorda italiana. Ho conosciuto personalmente i servizi e le attività svolte, ho verificato l’importanza di ciò che viene fatto in quei corridoi (corsi di Lingua dei segni, corsi per interpreti, sportelli di ascolto per i genitori di bambini sordi, produzione di materiale audiovisivo, ecc). L’Italia è già un Paese che non assicura alle persone sorde parità di diritti rispetto agli udenti – basti pensare a quanti pochi insegnanti di sostegno conoscono la Lis. Siamo sicuri di voler togliere loro anche il minimo sindacale, soltanto per risparmiare venti stipendi?

di Silvia D’Onghia

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 29-03-2018