La legge per riconoscere la lingua ufficiale dei segni: “Dare piena cittadinanza ai non udenti”

Abbiamo intervistato il senatore Francesco Russo, relatore del ddl sul riconoscimento della lingua italiana dei segni. Tra le proposte del testo, in esame al Senato, l’incentivazione dello screening neonatale, l’insegnamento della Lis nelle scuole, il ricorso all’aiuto di un’interprete.

ROMA. Ius soli, testamento biologico, orfani di femminicidio, legalizzazione droghe leggere. Questi sono soltanto alcuni dei temi che rischiano di non essere legiferati in Italia. Alle elezioni del 2018 mancano soltanto pochi mesi e, visti i tempi ristretti, non è detto che il governo Gentiloni faccia in tempo ad approvare le diverse leggi bloccate in Parlamento. Tra queste però ce n’è una di cui spesso si parla poco, ma che in realtà meriterebbe una maggiore attenzione dal momento che va a sottolineare un grande ritardo dell’Italia: tra gli ultimi Paesi in Europa a non avere ancora una legge che riconosca pienamente la parità di diritti e la partecipazione democratica delle persone non udenti.

Stiamo parlando del testo che riunisce i disegni di legge n. 302, 1019, 1151, 1789 e 1907. Un ddl che in generale chiede che la Lis, lingua dei segni italiani, venga riconosciuta come “lingua propria della comunità dei sordi, equiparandola pertanto a una qualsiasi lingua di minoranza linguistica, degna anch’essa, come le altre finora considerate che traggono la loro origine su base etnica, della tutela prevista dall’articolo 6 della Costituzione”. Oggi la Lis è invece riconosciuta come “lingua non territoriale propria della comunità dei sordi”, ma arrivando a identificarla come lingua di minoranza linguistica si avrebbe il suo impiego e utilizzo in più ambiti, nei rapporti con le amministrazioni pubbliche e con gli enti locali, ma anche nei procedimenti giudiziari civili e penali.

In Italia sono circa 960.000 le persone non udenti e questo dato comprende sia le persone nate sorde che quelle che ci sono diventate a seguito di una malattia o di un incidente. Queste persone stanno aspettando da vent’anni ciò che l’Europa ha già riconosciuto a livello comunitario con due risoluzioni del Parlamento, quella del 17 giugno 1988 e poi quella del 18 novembre 1998. In tale ambito è intervenuta anche l’UNESCO con la risoluzione del giugno 1994.

Il ddl è al momento in discussione al Senato.
Cosa dice il disegno di legge sulla lingua dei segni.

Il ddl titolato “Riconoscimento della lingua italiana dei segni” sottolinea che la Lis è una vera e propria lingua, “uno strumento avente una propria specifica morfologia, sintattica e lessicale, e non soltanto una modalità di espressione della lingua italiana. La lingua dei segni infatti è la lingua naturale delle persone sorde, perché per la sua modalità visivo-gestuale può essere acquisita in modo spontaneo dai bambini sordi con le stesse tappe del linguaggio parlato”.

E ancora, si spiega che “il suo utilizzo consente, in primo luogo, ai bambini sordi un pieno sviluppo cognitivo nell’ambito della propria comunità che includa sia persone sorde che udenti, sviluppo che costituisce la base per un pieno accesso all’istruzione, alla cultura e all’inserimento lavorativo e sociale”.

Si legge inoltre che l’Unione europea dei sordi, con sede a Bruxelles, ha più volte sollecitato tutti gli Stati membri nell’avviare una legge in tale direzione.

Tra le novità del ddl c’è l’inserimento della Lis nei rapporti dei cittadini con le amministrazioni pubbliche e con gli enti locali, nella sanità e nei procedimenti giudiziari civili e penali.
Inoltre il ddl vuole cercare di facilitare l’apprendimento e lo studio delle persone non udenti fin dai primi anni sui banchi di scuola. Si vuole garantire l’insegnamento della LIS nelle scuole primaria e secondaria di primo grado e rendere possibile il ricorso all’interprete della LIS nelle scuole superiori e nelle università. In questo modo si andrebbe ad abbattere anche un muro di indifferenza nei confronti delle persone sorde e si promuoverebbe la conoscenza e partecipazione collettiva creando anche classi miste. Nel testo si legge

La Repubblica promuove l’attivazione di classi miste di studenti udenti e studenti sordi con curriculum bilingue (lingua italiana parlata e scritta e in LIS) e, più in generale, l’inclusione nei piani di studio dell’apprendimento della LIS e della LIS tattile come materie facoltative, al fine di facilitare l’inclusione sociale degli alunni sordi, con disabilità uditiva in genere e sordociechi, utenti della LIS o della LIS tattile, incrementando valori di uguaglianza e rispetto delle diversità linguistiche e culturali.

E sulla formazione degli interpreti e degli insegnanti specifica.

Al fine di disporre di professionisti debitamente qualificati per l’insegnamento della LIS e della LIS tattile e per i differenti ruoli di assistente alla comunicazione, di assistente all’autonomia e alla comunicazione e di interprete LIS e LIS tattile, con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentito un gruppo di esperti nominati dal medesimo Ministro, che ricomprenda anche rappresentanti delle associazioni operanti nel settore della sordità e della sordocecità, sono determinati gli standard nazionali dei percorsi formativi per l’accesso a tali professionalità e sono altresì definite le norme transitorie per chi già esercita le medesime professioni alla data di entrata in vigore della presente legge.

Verrebbero anche incentivate le trasmissioni televisive nelle quali è già utilizzata la LIS e in quelle gestite dai sordi. Per le trasmissioni televisive si favorirebbe la sottotitolazione per facilitare la comprensione da parte delle persone sorde. Si garantirebbe anche l’accesso per i non udenti alle campagne pubblicitarie istituzionali, alle pagine e i portali internet di pubblica utilità o finanziati da fondi pubblici, oltre a tutti i servizi di pronto intervento ed emergenza.

Quello che la legge sottolinea è però soprattutto l’importanza dello screening neonatale per individuare in maniera precoce l’eventuale disabilità e poter intervenire in maniera tempestiva. Inoltre con il ddl si vuole promuovere “la ricerca scientifica e tecnologica su sordità e sordocecità in ambito linguistico, pedagogico, didattico, psicologico e neuropsicologico”.

Lo Stato però non obbligerà le persone sorde e la sua famiglia all’utilizzo della Lis, ma lascerà la libertà di scelta. Infatti viene chiarito che

“La Repubblica riconosce il diritto di libera scelta delle persone sorde, con disabilità uditiva in genere e sordocieche e delle loro famiglie in merito alle modalità di comunicazione, ai percorsi educativi e agli ausili utilizzati per il raggiungimento del pieno sviluppo della persona e della sua piena inclusione sociale, provvedendo alle garanzie necessarie affinché le persone sorde, con disabilità uditiva in genere e sordocieche possano liberamente fare uso della LIS, della LIS tattile e dei mezzi di sostegno alla comunicazione in tutti gli ambiti pubblici e privati, al fine di rendere effettivo l’esercizio dei loro diritti e delle libertà costituzionali e in particolare il libero sviluppo della personalità, nonché il diritto alla formazione, all’educazione e alla piena partecipazione alla vita politica, economica, sociale e culturale, nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Nessuna persona può essere discriminata né sottoposta a trattamenti diseguali, direttamente o indirettamente, per l’esercizio del suo diritto di opzione all’uso della LIS, della LIS tattile e di mezzi di sostegno alla comunicazione in qualsiasi ambito, sia pubblico che privato”.

Infine, presso il ministero dell’Economia e delle Finanze, verrebbe istituito un apposito Fondo per finanziare le disposizioni del ddl. Il fondo è di 50 milioni di euro per l’anno 2017, di 75 milioni di euro per l’anno 2018 e di 100 milioni di euro a partire dall’anno 2019.

Il relatore Francesco Russo: “Ritardo clamoroso, legge necessaria”.

Relatore del ddl sul “Riconoscimento della lingua italiana dei segni” è il senatore del Pd Francesco Russo che ha specificato: “La legge non è una legge soltanto per la Lis, e per questo abbiamo voluto levare la dicitura dalla titolazione, ma si vuole occupare della tutela complessiva del mondo della sordità in Italia”.

Il relatore ha poi sottolineato l’urgenza di una legge a tutela delle persone non udenti dal momento che l’Italia in questo ambito è fanalino di coda dell’Europa. “La cosa più clamorosa è il nostro ritardo. È una legge di cui si parla da una ventina di anni, ma noi siamo rimasti indietro. In Europa soltanto il Lussemburgo, come noi, non ha una legge in merito; Malta ha da poco adottato una norma. Questo ddl nasce per garantire piena cittadinanza alla categoria delle persone sorde che sul linguaggio fondano la loro possibilità di essere pienamente cittadini, pienamente protagonisti della loro comunità, in grado di esprimere i loro talenti che, come tutti, hanno”.

Il ddl riconoscendo la Lis come “lingua propria della comunità dei sordi” ne introduce l’utilizzo in vari ambiti: nei rapporti con le amministrazioni pubbliche e con gli enti locali, nella sanità e nei procedimenti giudiziari civili e penali. Proprio in merito a questo Russo spiega: “La legge riguarda un po’ tutti gli ambiti di vita, dalla scuola all’università, dal sociale alla sanità, fino alla pubblica amministrazione. È importante che le persone non udenti possano esprimersi e farsi capire di fronte a un avvocato o a un magistrato attraverso la lingua dei segni, anche con la possibilità di avere un interprete adeguato. In questo modo si possono evitare episodi di malagiustizia. In passato ci sono state vicende in cui la persona non udente non veniva ben compresa in ambito giuridico. Stesso discorso per gli ospedali dove è giusto che la persona possa comprendere fino in fondo una diagnosi che il medico gli sta facendo e dare, o meno, un consenso informato o consapevole rispetto alla cure a cui si vuole sottoporre o a cui sottoporre i propri famigliari. E poi c’è il dialogo con la pubblica informazione e quindi gli sportelli e le campagne informative che devono essere comprensibili per tutti”.

Per quanto riguarda l’insegnamento della LIS nelle scuole primaria e secondaria, Russo aggiunge: “Per la scuola il principio di base è la piena libertà di scelta. Noi sappiamo che nella comunità sorda ci sono diversi orientamenti: c’è chi preferisce l’insegnamento, per se stesso o per i propri famigliari, attraverso la lingua dei segni; altri invece preferiscono percorsi orali con l’ausilio dell’impianto. La scuola deve tener conto di entrambe queste opzioni. Poi il passaggio più innovativo sarebbe andare verso la creazione di classi miste con persone udenti e non udenti. Ci sono già esempi e in questo caso il percorso di bilinguismo, con la lingua dei segni in aggiunta, permette una partecipazione e condivisione molto forte tra i ragazzi. Inoltre psicologi ed esperti dicono che nelle classi miste si crea un clima per tutti di sviluppo. Si aiutano e si arricchiscono a vicenda”.

E sulla formazione degli interpreti: “In prospettiva gli interpreti dovrebbero essere formati attraverso corsi universitari che certifichino il percorso fatto e la qualificazione ottenuta. E comunque crediamo che ci possa essere da parte dello Stato un accreditamento che garantisca sulla professionalità di questa figura. Oggi la maggior parte degli interpreti sono formati attraverso strutture private, noi invece crediamo che la garanzia debba essere a livello statale. Questa legge vuole che lo stato sia la regia di vari interventi. Pensiamo che per garantire uno standard uguale di professionalità per tutto il Paese debba essere lo stato a farsene carico”.

Tema portante poi del testo è lo screening neonatale, necessario per aiutare le persone non udenti nella partecipazione attiva della comunità, riconoscendo e affrontando il problema, caso per caso a seconda delle esigenze, fin dai primi mesi di vita.
E proprio su questo punto il relatore Russo sottolinea: “Il tema della sordità può essere affrontato in maniera ancora più incisiva con lo screening neonatale in modo da certificare la sordità fin dalle prime settimane di vita. Infatti alcuni bambini, di cui abbiamo seguito il percorso e a cui era stata riconosciuta una sordità profonda fin dai primi mesi di vita, non erano più distinguibili da coetanei udenti già dall’età di due anni. Un percorso fatto con l’ausilio di apparecchi acustici e poi con l’impianto. Questa possibilità è data a chi viene precocemente segnalato. Passare i primi mesi di vita senza sentire suoni permette che questo percorso venga fatto con più difficoltà. Passare mesi significativi per lo sviluppo in silenzio totale fa perdere alcuni dati cognitivi che poi è più difficile recuperare”.

di Maurizia Marcoaldi

Fonte: Fanpage.it del 03-10-2017