La Repubblica del 04/10/2022

MILANO. Cai Glover ha 36 anni ed è sordo da quando ne aveva otto. Colpito da una meningite, si è salvato ma ha perso l’udito. Eppure stasera e domani lo vedremo danzare sul palcoscenico dell’Elfo Puccini per MilanOltre, protagonista di ” 9″, lavoro della compagnia canadese Cas Public sviluppato proprio a partire dalla sua disabilità e dal coraggio che gli ha permesso di non rinunciare a danzare nonostante tutto, e di diventare ballerino professionista.
Del resto, la compagnia fondata a Montréal dalla coreografa e danzatrice Hélène Blackburn più di trent’anni fa, nel 1989, fin dal nome suggerisce un’idea di danza contemporanea aperta ai problemi sociali e che nasce dal lavoro personale e collettivo dei danzatori. Le loro coreografie accostano musica classica e balletto, danza contemporanea e danza urbana, arie d’opera ed effetti scratch da dj, attingendo anche ad altri linguaggi, dal teatro al cinema. Il risultato è un mix riconoscibile e di facile fruizione anche per il pubblico dei giovanissimi, per cui Cas Public ha prodotto molti spettacoli.
In ” 9″, la colonna sonora classica guarda a Beethoven e alla sua Nona sinfonia. E non poteva essere altrimenti, con un gioco di specchi che riporta alla sordità del genio di Bonn, che fu capace di comporre capolavori senza tempo anche quando ormai non sentiva più: la Nona è uno di questi. Svestirsi del proprio handicap, superarlo per raggiungere l’affermazione di sé, e forse anche la felicità: il messaggio dello spettacolo si fa esplicito quando su uno schermo scorre il video di un ragazzino ipoudente che si toglie il voluminoso apparecchio acustico. Apparecchio di cui Cai Glover non può liberarsi: «I medici hanno installato nel mio cervello e nel mio orecchio destro un impianto cocleare – spiega il ballerino, nella compagnia da dieci anni – . Il dispositivo esterno è una specie di microfono che percepisce i suoni e invia segnali elettronici all’impianto. Il mio cervello può sentire ventidue frequenze. Più una voce o una musica diventa familiare, più riesco a coglierne li dettagli. Ho anche la fortuna di poter contare su una memoria dei suoni, poiché fino a otto anni sentivo. Ma non riesco a cogliere tutte le sfumature».

Come fa, allora, quando è in scena?
«In una coreografia, ho punti di riferimento uditivi e una quantità folle di segnali visivi. Senza dimenticare i gesti che si inseriscono nella memoria del mio corpo. Quando le batterie dei miei apparecchi acustici si consumano o il sudore le distrugge, devo comunque ballare. Inconsciamente costruisco piani alternativi per non essere colto alla sprovvista» . Quello che è certo, è che in scena nessuno nota la benché minima differenza con gli altri quattro danzatori, che lui guida come un corifeo. Tutti sono impegnati in sequenze di movimenti veloci, ripetitivi e irregolari, in un gioco senza tregua in cui devono interagire, o evitare, le minuscole sedie bianche che, con una macchinina giocattolo, fanno da unica scenografia. Ma quello che è più toccante nello spettacolo è che la sordità diventa anche elemento coreografico. I performer utilizzano il linguaggio dei segni e lo trasformano in movimenti ritmici delle braccia, in un vocabolario gestuale che produce fluidità e comunicazione. La disabilità diventa così il punto di partenza per percepire, sperimentare, comprendere, e superare l’isolamento e il silenzio.

di Simona Spaventa