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“Siamo due scrittrici sorde, vi spieghiamo tutto quello che non sentite voi”
Arriva in libreria Facciamo rumore, la guida di Chiara Bucello e Ludovica Billi le influencer di The Deaf Soul.
È pieno di anime sorde, ma ci vuole molto silenzio per riconoscerle al volo. La definizione “anima sorda” l’hanno coniata Ludovica Billi e Chiara Bucello, The Deaf Soul è infatti il nome del portale che hanno fondato nel 2021, e anche del loro profilo Instagram da oltre 18mila follower. Sul portale, Bucello e Billi fanno comunicazione e informazione per le persone con disabilità uditive e la lingua dei segni, “con un linguaggio che sa coinvolgere tutti e tutte oltre le barriere della disabilità e della diversità” (a proposito: “sordo” è il termine corretto, niente eufemismi). Sul loro profilo Instagram, invece, oltre a tenere il contatto con la comunità che si sono create intorno, producono clip che con una generosa dose di autoironia (“ho riso più del dovuto”, dice una delle utenti sotto un video in cui Ludovica mostra come le basti disattivare l’impianto cocleare per non sentire nulla, mentre Chiara dietro di lei impreca perché le sta chiedendo aiuto). Ora Ludovica Billi e Chiara Bucello hanno compiuto il passo successivo, hanno pubblicato anche un libro la cui lettura è un’esperienza immersiva in un mondo diverso, fatto di suoni ovattati. Si intitola Facciamo Rumore, e nelle sue pagine di carta (niente eBook: “i libri ti ricordano di vivere con calma, ti guardano dallo scaffale e puoi consultarli”, spiega l’editrice TrèFoglie nella prima pagina) le due autrici spiegano esattamente com’è vivere da sorde e come ci si sente a gestire quotidianamente luoghi comuni e – ancora, nel 2024 – una certa dose di discriminazione. Intervistare due attiviste e scrittrici sorde ti permette anche di capire l’enorme importanza dei messaggi non verbali della comunicazione, una sorta di telepatia di cui non siamo consapevoli. Quando ti trovi con loro faccia a faccia capisci facilmente tutto quello che ti stanno dicendo, ci scambi battute. Poi riascolti la registrazione mentre scrivi, e le devi disturbare venti volte su WhatsApp per farti ripetere alcuni passaggi che proprio non riesci più a cogliere. “Ho 27 anni e sono affetta da sordità neurosensoriale bilaterale profonda a entrambe le orecchie”, si presenta per prima Ludovica Billi. “Ho portato le protesi fino all’età di sette anni, ma siccome col passare del tempo non parlavo tanto bene, i miei genitori hanno optato per l’impianto cocleare. È stato come nascere una seconda volta, ma allo stesso tempo, ha significato andare incontro a ostacoli che a quel tempo erano davvero insormontabili. La mia vita da bambina è stata caratterizzata dall’alternanza logopedia/scuola, facevo le sedute cinque volte a settimana, 50 minuti di strada da casa, non mi sono potuta godere appieno l’infanzia e l’adolescenza. Alle elementari, i bambini erano incuriositi dal mio impianto cocleare, lo prendevano come un gioco. Ma alle medie è cambiato tutto. L’adolescenza è l’età più legata al bullismo, c’è poco da fare. E io ero una facile preda”. Ludovica trascorre quei tre anni delle medie difendendosi dai compagni che la prendono in giro per il suo modo di parlare. Nella migliore delle situazioni, le chiedono se è straniera. La sua sensibilità ne risente, ma quello che prova se lo tiene per sé. Poi inizia a praticare pallavolo. “L’ho fatto per 10 anni, e per i primi tempi è andata bene”, ricorda. “Ma gli ultimi sono diventati un incubo, non so perché ma venivo presa in giro anche qui, mi dicevano che avrei dovuto praticare la ‘pallavolo per sordi’. Non mi sentivo molto integrata nella squadra e chiedevo ai miei genitori di farmi smettere. Ma loro non volevano, dicevano che le difficoltà sarebbero servite a fortificare il mio carattere, che dovevo andare avanti a testa alta. Il problema è che per dei genitori udenti non è possibile mettersi completamente nei panni di un figlio sordo, capire quello che prova”. All’ultima partita della sua ultima stagione, la squadra di Ludovica perde ma a lei del risultato non importa nulla, voleva solo che quell’incubo finisse. “Crescendo, un po’ mi sono pentita di aver smesso, di non aver tenuto duro, ma non avevo la forza che ho oggi. Oggi me ne fregherei, e l’unica cosa importante sarebbe che mi piace la pallavolo”. Alle superiori, Ludovica ha una bella classe e i professori di sostegno, soprattutto per le lingue straniere, ma uno di questi invece di focalizzarsi su di lei, durante le verifiche, aiutava gli altri compagni udenti. Non ha mai capito perché. A ogni modo, con tenacia e determinazione, ha finito prima le superiori, e poi si laureata a pieni voti in Communication design in Toscana, senza manco bisogno del tutor. A Milano ha poi conseguito un master di grafica: “Era la fine della pandemia“, ricorda, “e mi sentivo a disagio perché i compagni dovevano usare le visiere trasparenti invece delle mascherine, per permettermi di vedere il loro labiale”.
Neanche per Chiara Bucello, 30 anni, arrivare all’età adulta è stata esattamente una passeggiata. “Alle elementari, anch’io non ho avuto problemi, la curiosità degli altri bambini per i miei apparecchi acustici non mi dava fastidio, per il resto, mi trattavano come gli altri. Alle medie invece non è andata bene, mi prendevano in giro per il mio modo di parlare, o perché non li sentivo quando mi chiamavano, ridevano perché non mi giravo”, rammenta oggi. “E poi non avevo il coraggio di farmi interrogare davanti a tutti perché mi vergognavo di far sentire la mia voce. Alle superiori, a causa di tutte queste esperienze negative, mi sono chiusa molto e non volevo fare amicizia. Alcuni professori mi prendevano in giro. Insomma, non è stato bello. Passavo i pomeriggi a fare logopedia e studiavo a casa con mia madre, non ho mai avuto un insegnante di sostegno. All’università, ho studiato per conto mio e non mi interessava fare amicizia, per me era inutile”. Poi, Chiara decide di sottoporsi all’operazione per l’impianto cocleare. “E da lì, non so come, mi sono aperta di più. Con gli apparecchi acustici non volevo che nessuno sapesse della mia sordità, ma con l’impianto cocleare non ho più avuto problemi”. La vita di Ludovica e Chiara cambia ancora quando si incontrano. Chiara faceva dei video ironici su Instagram e quando Ludovica li vede, si sente come se qualcuno la capisse per la prima volta. “L’ho contattata ed è diventata un riferimento per me, mi ha spinta a vedere la sordità non come un problema ma come una caratteristica, esattamente come essere alti, bassi, biondi o bruni”. Insieme aprono il portale thedeafsoul.com, che è ormai diventato un riferimento nazionale. L’ultimo step, come dicevamo, è il libro Facciamo rumore. “All’inizio era un sogno irraggiungibile per noi”, spiega Chiara Bucello a cui è stato proposto di scriverlo per prima, “Però io volevo coinvolgere Ludovica perché abbiamo fatto un percorso insieme, abbiamo lavorato sodo per far crescere The Deaf Soul. Abbiamo lavorato sul libro per un anno, annotando ogni discussione e ogni episodio significativo sul nostro iPhone per poi inserirli nel libro. Purtroppo, abbiamo una memoria a breve termine!”, scherza. Il libro è per tutti, sordi e udenti, perché ha lo scopo di diffondere il messaggio che la sordità non sia solo una privazione dell’udito: c’è tutto un mondo dietro. “Molte persone ci hanno scritto, soprattutto adolescenti perché incontrano molte difficoltà a relazionarsi con gli amici o con le persone con cui hanno legami sentimentali, non sanno come comportarsi, durante l’adolescenza la sordità la vedi come un problema veramente serio. Noi cerchiamo di fargli cambiare il punto di vista”. Tra i tanti miti da sfatare, quello secondo cui i sordi “veri” si esprimano solo con la lingua dei segni, mentre invece imparare la LIS è una scelta che ognuno prende autonomamente, e se impara a parlare e a usare i segni diventa un bilingue. E poi le negligenze sociali. Come la difficoltà di trovare un cinema che faccia anche qualche proiezione con i sottotitoli, che sono rarissimi. Peggio per loro: “Tanto, ora ci sono le piattaforme, vediamo tutto lì…”.
(Questo articolo è dedicato ad Anna Alberti che ci ha lasciato nel 2022, giornalista di Marie Claire e mamma di un favoloso ragazzo sordo)