Il Giorno del 10-02-2019

Udito debole già nella culla. Ora i test salvano l’orecchio

Il calo dell’udito, affermano i pediatri, è la disabilità congenita più frequente nell’infanzia. Un danno uditivo può influire sullo sviluppo linguistico del bambino con ripercussioni a livello psicologico, scolastico, e nella vita di relazione. Ma si può e si deve rimediare. Come devono comportarsi i genitori di fronte a questa eventualità? Ne parliamo con Filippo Sorace, medico dirigente ospedaliero di otorinolaringoiatria nell’Ausl di Imola.

Dottore, come si è arrivati a capire l’importanza dell’udito nel bambino?
«Attraverso studi sui neonati a cui viene riconosciuta una ipoacusia entro i primi sei mesi di vita, e che ricevano un trattamento tempestivo: presentano risultati migliori rispetto ai bambini ai quali un tempo veniva fatta diagnosi tardiva. Diagnosticare e trattare precocemente una perdita uditiva è importante in quanto consente al neonato di avere un normale sviluppo uditivo, verbale e linguistico».

Ma come fanno i genitori ad accorgersi del problema?
«Ai giorni nostri, per fortuna, siamo in grado di diagnosticare precocemente il deficit uditivo con lo screening, test che si avvalgono delle emissioni acustiche, indagini di rapida esecuzione ed elevata sensibilità».

Come si svolgono i test?
«Consistono nell’inviare all’orecchio del neonato stimoli sonori e nel registrare la risposta. Quando i suoni arrivano alla coclea, questa li traduce in impulsi elettrici per il cervello e nel far questo emette a sua volta dei segnali che vengono registrati. Si utilizza una sonda rivestita da un tappo in gomma che emette suoni e nel contempo registra i suoni emessi dalla coclea».

Quali altri esami vengono fatti a chi presenta deficit sospetti?
«I bambini che non superano il test, necessitano di approfondimento attraverso i cosiddetti potenziali evocati uditivi del tronco encefalico. Anche questo è un test oggettivo, non richiede la collaborazione del neonato e di norma si esegue durante il sonno spontaneo, inviando al bambino stimoli acustici di diversa intensità attraverso una cuffia».

A questo punto come si procede?
«La corrente elettrica prodotta dalla coclea che viaggia lungo le vie uditive, viene registrata mediante elettrodi adesivi posizionati sul capo del piccolo paziente. Una volta diagnosticata la sordità, lo specialista otorinolaringoiatra in accordo con i genitori dispone la presa in carico riabilitativa entro i 6 mesi di vita, avvia a terapia protesica e logopedica ed eventuale impianto cocleare entro un anno».

I controlli sono diventati di routine per tutti i piccoli, chi l’ha stabilito?
«Vista l’importanza sociale di una diagnosi audiologica precoce, da alcuni anni gli screening neonatali sono entrati di diritto tra i Livelli essenziali di assistenza (Lea). Ad esempio presso l’Unità operativa di Otorinolaringoiatria dell’Ausl di Imola viene eseguito lo screening uditivo universale sui neonati in linea con le normative nazionali».

Quanto incide la disabilità?
«Nel periodo 2013-2018 su oltre cinquemila neonati sottoposti a screening abbiamo individuato 170 casi a rischio audiologico; di questi, 6 neonati presentavano una sordità bilaterale e hanno intrapreso quel percorso protesico- riabilitativo cui accennavo prima».

Prevenire la sordità infantile richiede esami costosi o dolorosi?
«Direi al contrario che uno screening precoce dei deficit uditivi riduce il costo sanitario globale: i nuovi strumenti audiologici (emissioni otoacustiche e potenziali evocati uditivi) assieme alle sofisticate metodologie di diagnosi audiologica presentano un’ottima probabilità di identificazione del bambino sordo e, se attuati in modo opportuno, risultano efficaci nel permettere un inserimento nella futura vita di relazione e in quella lavorativa».